Monia Casadei
Opera 1^ classificata
Come un bocciolo d’alba che si schiuda
È lavativa, l’alba, quando vuole.
S’attarda, la rugiada del mattino
sul ciclamino ancora sonnacchioso
– minuzzoli di petali riversi
dentro l’estremo indugio della notte –
e sul silenzio placido degli iris.
L’ulivo è indolenzito dalle coltri,
dalle nidiate piove un pigolio
e grolla appena appena – sotto i coppi –
un passero le briciole di sonno
ancora incastonate tra le piume.
Ritarda, tra gli spigoli di cielo,
il sole forse ancora insonnolito
– un po’ di sbieco.
L’attesa m’appartiene, fino al centro,
in questo panorama del torpore,
nel borbottio sommesso del caffé,
nei boccoli scomposti dall’insonnia
e dietro la condensa lungo i vetri.
Giunge un latrato debole – lontano –
forse di cani desti nella brina,
e un gatto s’aggranchisce sulla gronda,
paziente del tepore d’un camino.
La roncola di luce caracolla, mollemente,
– inturgidita ancora dalle ombre –
carambolando pigra sul giardino,
ed importuna gli ultimi sospiri
delle corolle intorpidite e deste.
S’illuminano – pigre – le finestre,
forse ferendo anch’esse l’albeggiare,
ed il silenzio, piano, si risveglia
franando nell’estrema riluttanza
– del mattino –
come un bocciolo d’alba che si schiuda
– sbadigliando.
Gabriella Pesce
Opera 2^ classificata
Angelo, eri il mio mare
Col tempo, amore, sembravano sbiadite
le nostre parole di seta e di luce,
velate dalla polvere della quotidianità.
Col tempo, avevamo quasi dimenticato
il miracolo che covava sotto l’opaco
di tanti gesti dati per scontati.
Oggi, vorrei vestirti di parole e di baci,
ma il nostro tempo insieme è ormai finito.
Sei morto solo, senza una carezza,
senza una mano a stringere la tua.
Marzo è lontano, con le sue bare in fila,
ma il sudario di morte avvolge ancora
il nulla dei miei giorni, delle notti.
Torna l’estate e con impudenza
indossa nuovamente i suoi colori…
ma l’eco di risate e spiagge accese
penetra appena dentro il mio silenzio.
È il primo mare che vedo senza te.
Germogli bianchi esplodono nel blu,
forse lacrime, o scia che se ne va.
La barca intanto continua il suo cammino,
ondeggia, trema, ignora la sua meta
e lascia una ferita dentro l’acqua.
La strada bianca s’allunga, s’allontana…
saluto il mio passato e lo rimpiango.
Angelo, eri il mio mare, la mia onda,
ora tutto è inghiottito, cade e muore.
Lucia Lo Bianco
Opera 3^ classificata
Urla una donna nella pioggia
Piove su brandelli
di pelle vilipesa e muta,
su carezze non volute,
su stelle in cielo senza luce.
Più cresceranno fili d’erba
nei silenzi di prati immobili,
negli scuri anfratti
di giorni malati e stanchi.
Piove ed è violenza
a colorare come il fuoco
gli abbracci non voluti
ed Innocenza vola,
battito d’ali e fragile farfalla,
tra la dolcezza dei ricordi.
Ed è già lì, un disegno all’orizzonte,
la filigrana di vita lacerata,
non più rondine tornata
a primavera, solo amore
offeso dentro a un bosco.
Piove su un canto libero
ch’è urlo di una donna,
tra note calde e vibranti di magia
e bianchi tasti macchiati dalla pioggia,
ma sono perle le lacrime negli occhi.
Piove su quella carne
che odora d’armonia
sfumata a chicchi
caduti come il grano.
Piove mentre di donna
appena s’ode l’urlo tra la pioggia,
mentre si rompono i fili di rugiada
sui bianchi fiori raccolti da bambina.
Benito Galilea
Opera 4^ Classificata
Al passo dei dispersi
Aria di sapori nuovi tra i silenzi della piazza,
voglia di ritrovarsi stranieri nella sera,
con gli ultimi galli a cantare quando
accendono i focolari e il mio paese si va
popolando di facce nuove e di nuove canzoni.
Casa mia si schiude in un qualche paradiso
di presenze, quelle sole lasciatemi in giacenza
dal rumore dei carri di quel febbraio del ‘44
quando stretti si ascoltava il mondo che nasceva.
Ma di te mi sia memoria il canto occulto,
solitario e ardito tra i papaveri in cammino,
ancora la voce che risuona nelle stanze
per una passione ed un tempo ritrovati
sul muro che abitammo al crepitio d’allora.
Ora dimmi che c’è vita, e non soltanto,
in questa estate raccolta in grappoli
d’altura, dimmi che ruba una capriola
al cuore l’azzurra libellula dell’aria.
E prima che di noi un grido ignoto
strappi le passioni dal gioco delle mani,
il cuore si colora di silenzio allineando
pezzi di Coronavirus alle maree del tempo.
Così un giorno tornerà una nuova primavera
a regalarci il coraggio del non dire, ai margini
del fiume dove un cappotto di papaveri e ginestre
ripercorre la valle dei templi posandosi acccanto
a gatte che sgravano gioiose rimirando le stelle.
Massimo Celegato
Opera 5^ classificata
Riscatto (12 vv)
Ma noi, prigionieri senza memoria,
condannati all’esilio della storia
da un ideale spento alla poesia,
torneremo a comprendere la malìa
della solenne voce delle montagne,
quando al di sopra delle loro innevate cime
gusteremo commossi le lacrime di un cielo,
che con pioggia di colorati sogni
irrora di luce l’umano inferno?
Nessuno turbi allora il sonno della terra,
quando in silenzio di stelle chiuderà i nostri occhi
con un bacio di eterno!
Paola Curagi*
Opera 6^ classificata
Dedicata
Verso sera i tuoi capelli si tingono
di tramonto,
mentre gli anni passano sulla
tua pelle bianca.
Che gioia averti ancora con me,
dolcemente al tuo posto
mentre la mia voce ti sfiora appena
un sorriso e l’intesa di sempre.
Quanto bene verso la tua persona
fiori e compleanni
tutti ancora lì, indelebili nel
cuore.
Poi un poco di felicità
quella che fa brillare gli occhi,
a chi non si aspetta più niente
e si accontenta quanto basta.
Andare avanti, nelle stagioni
mano nella mano,
come quando piccola davo forma
alle nuvole
ed eri il mio tutto.
*Francesco Petrucci **
Opera 7^ classificata
Nel bianco
Ruota danza, ovatta bianca
lenta fiocca, neve greve
non s’avvinghia, ancora stenta
Sprigionati lassù in cielo
i cristalli frammentati
variegati veli han steso
Errabondo nel nitore
ai miei passi la sordina
muto bianco tutt’attorno
Se ci ricoprisse tutti
come panna vaporosa
Il futuro congelare
ammantare nell’oblio
gioie, lutti, odi, rancori
stop and go per ripartire
per fermarsi a meditare
Sui perché, su che sarà
sui “potrebbe” e invece “è”
Disvelare vie smarrite
che palliare sa quel manto
mira l’alto, la speranza
giù, coriandoli di gelo
Fiocca ancora, fitta e lieve
notte magica di neve
Luisa Di Francesco
Opera 8^ classificata
L’orlo della primavera
Le pieghe dell’abito leggero
su piedi nudi muovono tepore
nel verde aperto di corolle a fiore.
Frescosa aria di profumate note
maggio di margherite papaveri e rose
respirano foglie nel brillio di rugiada
lacci di umido a salutar la mattinata.
Frullio nell’aria del giorno
pettirossi a becco aperto, a stormo
che da lassù guardano il canto alato
piegare in disegni il volo planato.
E un calabrone bruno e scolpito
lucido ronza al profumo carpito
dalla bocca di un boccio appena uscito.
L’orlo della nuova primavera
sfiora la vita, che ancor spera.
Marisa Cossu
Opera 9^ classificata
Strano mestiere
(terzine)
(ABA BCB CDC DED)
Strano mestiere questo mio scavare
dentro l’altrui coscienza le profonde
crepe del sé, tormenti da sedare;
riconoscere il tarlo tra le alte onde
dell’emotivo mare che tempesta
del mio fragile animo le sponde.
Fa male quel pensiero che mi desta:
penso e ripenso al baratro sospeso
tra l’altro e me, ma nel mistero resta.
Frugare nell’inconscio reca il peso
d’umana debolezza, del mio nulla,
e nell’abisso altrui mi sento arreso.
Lucia Ingegneri
Opera 10^ classificata
Significati
Sguardi che s’allungano
nello spazio infinito,
sensi che si liberano per catturare
la tacita voce dell’universo
e assorbirne il respiro,
mentre la logica del cuore
rincorre la vita sull’onda dei desideri
che s’imbarcano verso un nuovo giorno.
Mi trovo, come tutti,
nella spirale irremovibile del tempo,
con le variabili prove
che la vita ci riserba.
Passi filtrati da crepe che si sfaldano,
ma anche piacevoli risvegli dell’anima
che nutrono l’esistenza con germogli
di parole, sentimenti, abbracci,
quando il gioco della vita non inganna.
Se potessi,
metterei a nudo la mia anima
e seminerei granelli d’armonia
nel cuore più riposto della gente
per profluvi d’umiltà e d’amore.
L’amore mi abbevera di significati,
di meraviglia del vivere e del far vivere.
Le mie mani colgono
ogni momento buono
per modellare la fatica del giorno
come teneri tocchi di madre,
per stendere un velario
sul buio delle tenebre,
per mostrare l’oriente della vita,
per carezzare altre mani
bisognose di fiducia e di calore umano.
Barbara Rabita
Opera Vincitrice Premio alla memoria di Augusto Robiati
Il primo giorno
Trascino lo zaino per le scale
il fascio di luce illumina i capelli
entro nella classe
accanto alla mia
dell’anno scorso.
Ti rivedo, compagno,
che mi sorridi
dalla sedia a rotelle
sei cresciuto,
i peli sul viso fanno di te
un giovane uomo.
Guardo fuori dal vetro
la mascherina appanna gli occhiali…
o forse una lacrima.
Antonio Laneve
Opera vincitrice del Premio Speciale Poesia Autodromo Nazionale di Monza
Il tempio (della velocità)
I telai del rito
hanno colori veloci
ma qui al Tempio
non serve pregare
per strappare dalle stelle
un brandello di cielo
o il drappo a scacchiera
dopo l’ultima scia.
Cavalieri e màrtiri
hanno donato nomi
a capitoli di storia
lontana dalle logiche
di pigri miscredenti,
invece è qui
che gli Dei del rischio
hanno fatto breccia
tra milioni di cuori.
Melissa Storchi
Opera 1^ classificata Giovani
Nonostante tutto
Ormai il mio cuore
è lacerato;
tacciono le gocce
che delicatamente
scorrono sul viso
segnato dall’ermetico
dolore.
Scorgo, celata dietro
un profondo supplizio,
quei vigliacchi sorrisi,
sorrisi che fanno male
imbrattati di orrori
disumani e che lasciano
ferite non più rimarginabili.
Ora, la mia bocca
rimane inerme,
statica, fissa in quella
posizione con il dubbio
di non saper più sorridere.
Nonostante tutto,
sopravvive la speranza
di riuscire a far volteggiare,
tra venti lontani,
i desideri repressi
senza più paura di morire.
Simone Barbacci
Opera 2^ classificata Giovani
Il riflesso del chiarore
Alzò i torbi occhi il galeotto
dal nero pozzo dov’ei era caduto,
poiché’l sol giunse alla cima e’l volto
suo, di circolar dipinto, fu muto.
Cadde tal se dal dolce vino colto
a contemplar ragion che uom desta ognuno,
come la stagion che sol cambiar volto,
dall’intorpidir del senso perduto.
Ma non poté mirar con occhi umani
la sintesi del divino splendore,
così li volse ai suoi contorni vani.
Il tempo cui lieve una foglia muore
e le ombre lo cinsero tra le mani,
fu il galeotto e il riflesso del chiarore.