Alice Ramploud
Opera 1^ classificata
È Autunno
La nebbia sospira bianca, incompresa
e trascina brandelli di cielo sul prato,
segne il sorriso delle nuvole
nel grigio silenzio che sa di fumo.
È autunno
nella mia voce,
nei miei respiri,
nei miei gesti,
nei miei passi.
rapidi, così vicini,così furtivi.
È ormai sera in questo albero
dai rami argentati e dai fiori avvizziti
che brillano alle stelle prigioniere.
Cartocci di foglie, spezzate e ricomposte,
aneliti di vita,
voci di radici,
fremiti di baci,
fragori di tempesta.
Il vento è carezza nel distacco,
tepore che scuote il gemito,
prima della resa all’orizzonte di pace.
Nella dolce e placida aurora
sarò foglia e vento,
terra e cielo,
sarò respiro e canto.
Ettore Fobo
Opera 2^ classificata
Un incontro al Bar Gonzaga
Si potrebbe inventare un personaggio
che parlasse più veloce del fiume,
che amasse gli aironi e le ore piccole,
scoria dell’invisibile la sua visione
del mondo, ma anche personale, umana:
«Io cerco l’oscurità, l’anonimato,
esattamente il blu di Mirò
con un punto giallo al centro;
cerco un gioco di specchi,
in cui io veda l’altro, il detentore
dei segreti della mia esistenza».
Lei invece ha il riso più vasto dell’oceano,
l’anima sulle labbra e un cuore di bambola,
ha sogni da educanda e incubi da carnefice
e molto si racconta, a voce bassa,
della sua animalesca superbia.
«Io voglio l’oro fradicio di un sottobosco,
dove s’imperla di lucciole la foglia».
Il terzo è un lunatico nottambulo,
che ha la follia nel sangue, questa passione
per l’impossibile, a una stanchezza d’esistere
combinata in uno strano arabesco,
e gli porgono una tavola
del test di Rorschach, con un sorriso lento:
«Io qui vedo Anubi , nudo, con un fallo enorme,
che balza da una fratta e sullo sfondo
il solstizio delle streghe, dove uno
viene impiccato all’albero del linciaggio».
Si sono incontrati al Bar Gonzaga,
nei loro occhi è brillata un’intesa,
poi tutto è finito, perché in questo mondo
solo sfiorarsi è davvero divino.
Patrizia Cozzolino
Opera 3^ classificata
Ali di sabbia
Ali di sabbia s’aprivano
in universi di silenzi
accarezzati da foglie
che a voce bassa
urlavano di non avere fiato
per accompagnar l’autunno
sulla terra brulla
prima dell’arrivo dell’inverno.
A testa china, accartocciate
su linfa di dolore ribaltata
da una stagione all’altra
cedono sogni e i più svariati umori
ai burattini di questo nostro mondo
una Babele, a volte un grande evento,
ed è appuntamento alla Biennale
e poi ad asciugarsi gli occhi
bagnati dagli schizzi un po’ cerulei
delle danze d’acqua intorno al Lido.
Sussurrano le foglie
dischiudendo labbra di ceralacca
agli angoli delle calli
si vestono a festa
prima d’annegare sospinte dal vento
nelle tremule acque della laguna.
Vento d’Oltralpe e vento d’Oriente
su ali di sabbia sollevano le foglie,
vacillano memori d’antichi dubbi
un po’ salmastri e un po’ confusi
All’ombra di Cà Foscari.
E di ieri e di oggi fosco andirivieni
sdrucciolevole plana
scalciando e inciampando.
Su ali di sabbia.
Lucia Ingegneri
Opera 4^ classificata
Come piuma in ascesa
Varcare il sentiero della propria vita
superando le pietre d’inciampo
che impediscono al passo di avanzare,
rimuovere l’indifferenza che indurisce
gli animi velati da ragnatele di sfiducia
con la capacità di saper leggere le cose
e di capirle col linguaggio del cuore,
liberare i propri pensieri dai fallimenti
e dal dolore oltre ogni tempesta
ritrovando la bussola dell’anima
per saper cogliere nella portata di ogni
evento la vera sostanza, una speranza,
tutto ha senso se scruto la quiete diafana
dell’immenso cielo che abbraccia il mondo
e lo irraggia di luci e di colori.
Tutto ha senso se da ogni cuore
si sprigionano amorevoli germogli
per far fiorire la luce vera della vita,
per sentimenti di pace,
per la trascendenza dell’essere
nella sua interiorità universale.
Tutto diventa intorno a me possibile
e armonioso, con l’anima di primavera,
di gioia vera, tenera, libera,
leggera come piuma in ascesa
fluttuante nell’Eterno.
Maria Colombo LGE
Opera 5^ classificata
L’ultimo confine
Ci sono albe insolite, irreali,
improvvisi piovaschi
e l’ultimo confine che chiama.
Allora, la luna sembra ferma nel cielo,
non brilla più.
Gli occhi fatti d’acqua si sciolgono
nel buio,
il caro corpo bruciato dal vento
dà le spalle al sole, o almeno così pare.
Un’immensa tristezza stringe il cuore,
tutt’intorno aumenta l’oscurità
facendo oscillare le ombre,
i cari volti persi.
Ora è una grande galoppata senza fine,
una corsa sfrenata per le terre dell’infinito.
Rivedi l’incanto dei primi giorni
quando tua madre e tuo padre
ti tenevano per mano
e bimbetta ridevi serena
con la luce d’oro tra i capelli.
Come provenissero da oltre il cielo,
li senti accanto a te.
Ti accosti a loro
con l’incanto dei primi giorni
e quell’infinito fascio di foglie morte
veglia accanto a te, in attesa.
Senti il cuore battere e sperare.
Sergio Baldeschi
Opera 6^ classificata
Non esistevi più nei miei pensieri
Non esistevi più nei miei pensieri
e forse, avevo anche scordato
le tue marachelle da bullo schernitore.
Ma poi, come un coniglio
tirato fuori da cilindro,
sei magicamente riapparso
sopra queste mille sfumature d’asfalto
che tanto avevi deriso e denigrato,
con le tue furibonde scorribande.
Eppure… stento a riconoscere
quel ragazzo sovversivo,
dai folti riccioli e dalle esili forme
che arrotolava tabacco tra le labbra
e con il rombo della sua Guzzi
scortecciava labirinti di luna.
Caro Guido, ora che le stagioni
ti hanno diradato e spiumato,
non rimane niente di quel James Dean
che deprezzava la vita
con rocambolesche impennate.
A impatto interiore
mi sembri più l’icona di un Budda
guarnito da prole e sudditanza
che un idolo delle folle.
Vedi, Guido, nell’epopea dell’anima,
tutti passiamo provvisori
su questo campo di battaglia
che c’illude l’esistenza.
Ognuno s’inventa un ruolo
per non restare prigioniero
dei suoi stessi sogni,
poi un giorno si sveglia
e capisce che la crociata… era un’altra.
Francesca Croci
Opera 7^ classificata
Purezza elementare.
Altro farò. E sarò salva.
Incontri da governare
con meticolosità e sapienza
– sguardi, gesti e silenzi da liberare
dalle trappole del quotidiano,
da esplorare per poi ridefinirli,
donando loro una nuova nascita,
fermento vitalizzato dentro il mio pane.
Visioni segrete da dipanare,
parole abusate da lucidare
per rinnovarne il senso luccicante
– avrò solo scommesse
da perdere o da dimenticare
e nuovi dolori – sanguinamenti –
che non mi annienteranno.
Resterà un cratere ribollente
sprofondato negli abissi dell’oceano
della mia immaginazione,
ma la memoria del perso
non sarà più gogna quotidiana
– pericolo di ricadute spirituali.
Altro farò. E sarò salva.
Verrà una nuova infanzia
di soli coi raggi disegnati in giallo
– di simboli soltanto
a stigma della purezza elementare
di colori e forme.
Credo che diverrò
anche più bella
quando avrò smesso
di sedurre il mondo.
Mariateresa Biasion Martinelli
Opera 8^ classificata
Oltre il mio viaggio
M’accoglie caldo
l’abbraccio del mio cielo.
Nuvole bianche
rivestono l’aurora,
bianco mantello
che offusca lo splendore.
Gocce di rugiada
accarezzano le foglie
di aceri antichi,
le braccia tese
a lambire il vento,
nell’incessante gemito
di un fruscio sommesso.
Oltre le vette
spunta il primo raggio
di un sole spento
come il mio ritorno.
Pervade il cuore
la malinconia del tempo.
Rivolgo il viso
alle mie montagne,
già preme la partenza,
già incombe triste
il velo del tramonto.
Sono già oltre il mio viaggio.
Dario Marelli
Opera 9^ classificata
Martina – la trapezista –
Sono quei trenta metri di speranza
la soglia fra il successo e il fallimento,
sempre sul lieve filo d’equilibrio
fra il fingere di andare incontro al fato
o assecondare ancora il proprio tempo.
Così Martina sul trapezio corre
verso il buio, fidandosi soltanto
del suo fiuto, pregando che il destino
le tenda un’altra volta la sua mano.
Sono le giravolte dell’esistere,
gli alti e bassi che segnano mattini
e umori, come dentro a un luna park,
a quel sottile gioco che chiamiamo
vita, che non rinuncia al suo segreto.
È felice, Martina, quando lancia
il corpo e nuovi sogni addosso al cielo,
come se lassù in alto fosse libera
di vincere e cadere, senza farsi
male, come una nuvola leggera.
Ha dalla sua la giovane incoscienza,
dell’età, l’esplosione di colore
che non le può restare chiusa in petto.
Fosse per lei starebbe fra le stelle,
a carezzare il viso della luna,
a chieder cosa sia l’eternità.
Ma mentre si alza in volo pensa agli occhi
fermi di sua madre, a quel sorriso
acceso che la rende più serena,
che le sussurra, “aspetta, non è tempo
di venire, il futuro è ancora tuo”.
Così si stringe forte alla sua presa,
come se fosse un bimbo da allattare
col pensiero che arriverà quel giorno,
che val la pena vivere davvero.
Sa di bellezza il cuore di una donna,
sa d’incanto, del figlio che verrà.
Irene Baldini
Opera 10^ classificata
Sensi divini
Un soffio di vento
è carezza di Dio,
la fragranza di un bucato
l’abbraccio dei nonni,
una goccia sul viso
è bacio di madre,
un fruscio nell’orecchio
consiglio di padre,
un cielo purpureo
passione del diletto compagno,
la purezza dell’alba
respiro di figlio adorato.