Antonio Zannino
Opera 1a classificata
Il villaggio dei sogni
Era un villaggio, capanne di paglia, di pescatori,
c’eran foreste, qualche radura, colline verdi piene di fiori.
S’alzavano presto ogni mattina, si davan da fare,
era su un’isola, lontano dal mondo, in mezzo al mare.
I bambini giocavano sotto le palme, gli anziani con loro,
stendevan le reti, stringevano il cerchio, cantavano in coro.
In un mondo felice, in un paradiso mi sentivo immerso,
perfino il sole alto nel cielo sembrava diverso.
Sabbia sottile, a piedi nudi, senza vestiti,
le scimmie dai rami lanciavano sguardi un po’ divertiti.
Ogni sera una danza, facevano cerchio intorno al fuoco,
la Luna ridente… la sua debole luce rischiarava un poco.
Cantavano i grilli, gracchiavan le rane, niente rumori.
Era un villaggio… lo stavo sognando, di pescatori.
Squilla il telefono, mi sveglio di colpo. Mia moglie risponde,
ho ancora in mente la vita selvaggia in mezzo a le fronde.
Mi viene vicino, un lieve sorriso, un po’ preoccupata…
Sai, è fine mese, era la banca, è scaduta la rata!
Stavo dormendo, ero felice, facevo un bel sogno…
Prova anche tu, hai l’aria stanca, ne hai molto bisogno…
Eravamo stranieri, razza diversa, venivamo da fuori,
ci mettevano in testa e intorno al collo ghirlande di fiori,
a piedi nudi, senza vestiti, avean sul viso
aria serena, sguardo sincero, sempre un sorriso…
Non c’erano soldi, tutti uguali, non c’eran signori!
Era un villaggio, capanne di paglia, di pescatori.
Era su un’isola, lontano dal mondo, in mezzo al mare.
Stiamo sognando… continua a dormire… non ti svegliare!
Gaetano Pizzuto
Opera 2a classificata
Giacigli di stracci
Li ho veduti, uomini e donne
contro i muri d’un portico triste,
stesi su letti di cartone
con la malinconia d’accanto
tra coperte di polvere nera.
Li ho veduti, quasi calpestati,
con uno sguardo ch’era sfuggente
ma gli occhi del mio cuore
piangevano silenziosamente.
Li ho uditi, fantasmi senza età
raccontare d’una vita capovolta,
un Karma già marchiato, scritto
che relega per strada la debolezza,
agli orli sgualciti di queste città.
Li ho uditi implorare pietà,
chiusa era la porta della clemenza
ma le orecchie della mia anima
erano graffiate, ferite.
Questa folla non vuole vedere
le buie caverne della vergogna,
non vuole udire le voci che gridano
nei deserti della solitudine
e l’amore è là, gettato a terra
tra freddi giacigli di stracci.
Pietro Bosco
Opera 3a classificata
Desiderio d’amore
Vorrei avere le ali
per volare in alto
e con un dito scrivere
nel blu del cielo… Ti amo.
Vorrei essere un gigante
e cogliere la luna dal cielo nero
e dartela nelle mani e dirti… Ti amo.
Vorrei poter cogliere il sole
e, come un’arancia, donartela
per riscaldarti con il suo calore
e dirti… Ti amo.
Vorrei sciogliermi e diventare acqua
per farti immergere dentro di me
e sentire ogni atomo del tuo corpo
e dissetarti con il mio amore
e dirti… Ti amo.
Vorrei essere la madre terra
per accoglierti quando il tuo respiro si placherà
per farti rinascere e dirti di nuovo
e fino all’eternità… Ti amo.
Adriano Scandalitta
Opera 4a classificata
Gente di Lomellina
Atleti di un tempo che fu,
alacri lavoratori della terra
che avevate nelle braccia
e nel costante sudore
gli strumenti per farla
palpitare con il frutto
di giusti raccolti
A voi vorrei erigere
un monumento, nel punto
più verde della cara Lomellina
per ricordare il vostro patimento
che per voi era una ragione di vita,
una soddisfazione grande
che dava nutrimento ai vostri figli
Tanti di voi sono volati via,
come rondini, nella stagione
ancora verde della vita,
piegati dalla fatica, ma sereni
e gioiosi nel cuore, per avere
lavorato, con amore, questa terra
feconda di Lomellina.
Maria Maddalena Monti
Opera 5a classificata
Parole (2)
Le parole sembrano segni
grafie vuote
che appaiono e scompaiono
nell’inarrestabile,
bla bla della vita.
Ma sono
per me che le dico
e a te
che le odi
lacrime e sangue
inascoltata voce
del più profondo soffrire
cambiano mentre le dico
e tu le ascolti.
Emanuela Arcangeli
Opera 6a classificata
«Questa poesia l’ho scritta per la nascita di mio nipote, un bimbo down nato il 2 giugno 2006, una creatura meravigliosa e solare, ho cercato di mettermi nei panni di mia cognata… e sono nati questi versi».
Amami
In segreto,
con tremante fiducia,
Amore ho generato.
Nei cavernosi pensieri
trema il cuore.
Ti accompagna un angelo
tenendoti per mano.
Nell’aria si addensano
nuvole di interrogativi.
È il tempo,
di timidi sogni, di progetti insicuri,
ma ti guardo e ti amo,
non posso non farlo.
Sei il mio amore rinnovato.
Sei il delicato affetto,
l’inquietante incertezza,
l’infinita tenerezza.
Coi tuoi occhi mi sussurri:
«Amami!».
Diego Fantin
Opera 7a classificata
Padre e figlio
Camminiamo,
per una volta ancora,
mano nella mano.
Tu con la tua barba
incolta ed i capelli
tinti d’un bel colore
bianco.
Io con i miei capelli
argento.
Ci addentreremo piano
nel fiato lungo
del bosco delle fate
dove, ne sono certo,
si fanno ancora
le magie.
A te ridoneranno
il bel colore scuro
dei capelli e la tua
barba incolta
ritornerà rasata.
A me rimetteranno
i pantaloni corti
ed i capelli lunghi
della mia gioventù.
Avvolti dalla abbagliante
luce che hanno
i sogni
ritorneremo ad essere
di nuovo padre e figlio.
Da troppo tempo ormai
i ruoli sono invertiti.
Maurizio Marmiroli
Opera 8a classificata
Sarai madre
Madre, tu sarai madre
Novizia del sacro tempio
Vestale del rito antico
Tuo sarà il nuovo tempo
Tuo sarà il gesto amico
Gli occhi tuoi nel buio saran chiare stelle
Ad orientare il passo, oltre il sentiero, un lume
E al cuor sarà la voce qual furon le sibille,
foriera di saggezza e di dolcezza insieme.
Madre sarai per sempre, madre
Nel pianto e nel rimpianto
Con le sue dolci gioie
Nelle sue grigie noie
E rivivrai te stessa
Ti coprirai d’immenso
Languidamente sfando il senso d’ogni senso
E, quando ormai canuta, per la bellezza antica,
dagli occhi tuoi lucenti il complice sorriso
si poserà piacente, la candida mano ossuta,
sul seme dal seme atteso, sul pargoletto viso
tu capirai allora l’unico fine vero
e dove, ancor, finisce l’unica verità.
Non v’è null’altro attorno, tutto è bugiardo, effimero
Solo un madre è certa e solo lei lo sa.
Vincenzo Bianco
Opera 9a classificata
Autunno
Il dolore è nel tuo corpicino infantile
Il dolore è nella crescita dei tuoi sogni
Che verranno con la grazia e coraggio
Che ti aiutano a formare la strada.
L’autunno dipana
fili visibili alla luce nebbiosa
che si ferma all’improvviso sulla strada
lasciando morire il giorno.
Splende la luna che nella sera
traversa le foglie morte.
E nel pensiero della mente tutta
la stagione è un divenire mortale.
Un sorriso entra e rimane
saluta con gioia un attimo
nell’ombra che si nasconde
nella nostra vita piena di tristezza.
Giovanni Palmieri
Opera 10a classificata
Ideologie “pensanti” (?!)…
Pietre salaci
fiondate a spegner
lucciole sacre – in conto terzi -:
io, come te, Adamo!
Riscattato…
Dove il tuo Sé divino?
Saulo, Saulo
perché mi perseguiti?
Ancora! Eppur t’Amo…
Alba Silva
Opera 1 a classificata poesia in vernacolo
As ciamava Mariu
Mariu a l’eva un povr om;
cun la barba bianca, e scarpi rutti
una bursa an tràcolà,
un par dugià tuc sgangara;
al circava nò l’elemosna,
al vindiva gugì, e fì par cusì;
E quant l’eva noc par durmì,
al circava nò un lec morbid;
ma un po’ ad paia in tuna stala.
Tuc i dì al fava tanta da cula strà,
da pais in pais, cun i so pinsier,
in tun mond tuc so.
I fioi che g’ridivun an facià;
par i so visti tuc strasà;
lu al fava gnancà una piega
e al pruseguiva par là so strà.
Una donà dal cor d’or
quant la vighiva cul povr om
pasà renta la so cà,
ag ufriva sempar una scudelà
ad cafè lac, e ben zucherà.
L’è una stroria vera, d’un povr om
del 1953 che par mangià al vindiva
gugi e fì par cusì.
A des le imparadis; ma i pens che anca lasù
al cuntarà quanti gugi e fì la vindù
an tal mond da chì,
a culi doni che al gavù voia da ricama e cusì.
Alba Silva
Traduzione dell’Opera 1 a classificata poesia in vernacolo
Si chiamava Mario
Mario era un povero uomo
con barba bianca e scarpe rotte,
una borsa a tracolla,
con occhiali malandati;
non cercava elemosina,
vendeva aghi e filo, per cucire.
Quando era buio, per dormire
non cercava un letto morbido;
ma solo un po’ di paglia in una stalla.
Tutti i giorni faceva tanta strada;
andava di paese in paese, con i suoi pensieri;
in un mondo tutto suo.
I bambini gli ridevano in faccia
per i suoi abiti stracciati;
lui non faceva nemmeno una piega
e proseguiva per la sua strada.
Una signora, dal cuore d’oro
quando vedeva quel povero uomo
passare vicino alla sua casa,
gli offriva una scodella di caffè latte
e ben zuccherato.
Questa è la storia vera di un povero uomo
che nel 1953 per mangiare vendeva
aghi e filo per cucire.
Ora è in paradiso; ma penso che anche lassù
conterà quanti aghi e filo
ha venduto in questo mondo
alle donne che amavano ricamare e cucire.
Maurizio Cerri
Opera 2 a classificata poesia in vernacolo
Un mò ‘na volta
Una cà, dü stans
Vüna a bas l’altra adsura
A la finestra i frad
Un po’ scus dai gelos˘ ii
Mubilia ‘pena asè
Taul e i so cadrèg
Credensa e lutumana
la stiv per scaldà e pr’l mangià
Un lèton cul prèvi
Vestè, cumò e baül
Dü cifön cui sò urinari
Al cadìn par lavas facia e män
Föra ad l’us quatà d’la tòbia
L’aia, ‘l pulè, dü o tri galin
La surba par l’aqua
L’ort cun i sèral e l’insalata
A l’ombra, tì, setà giù in sal scagnèt
La lòbia, al tò baston
‘l gilè, ricord ad l’Argentina
i occ seren d’un campè strac
e renta a tì, mi fiö
cun la màn in d’la tò man
suridi ai tò cavì bianc
spètanda ansius˘ la tò vus˘
… minin minèla, barba castèla
barba milàn, sèra la màn…
Filastrocca completa:
Minin minèla, barba castèla barba Milan sèra la man
S’agh ghè dentar, una grana ad sà
Vèra la man cla fuma cantà
Maurizio Cerri
Traduzione dell’Opera 2 a classificata poesia in vernacolo
Ancora una volta
Una casa due stanze
una sotto, l’altra di sopra
alla finestra le grate
un po’ nascoste dalle persiane
Mobilia appena sufficiente:
il tavolo con le sedie
credenza e divano
stufa per scaldare e far da mangiare
letto matrimoniale con lo scaldaletto
armadio, comò e baule
due comodini con i vasi da notte
il catino per lavarsi faccia e mani
Fuori dalla porta, coperta dal pergolato
l’aia, il pollaio, due o tre galline
la pompa dell’acqua
l’orto con il sedano e l’insalata
All’ombra, tu, seduto sullo sgabello
il cappello, il tuo bastone
il gilè, ricordo dell’Argentina
gli occhi sereni di un agricoltore stanco
Vicino a te, io ragazzo
con la mia mano nella tua mano
sorrido ai tuoi capelli bianchi
aspettando ansioso la tua voce
Minin minèla barba castèla
barba Milan, chiudi la mano
Filastrocca completa:
Minin Minèla barba castèla, barba Milano, chiudi la mano
Cosa c’è dentro, un grano di sale?
Apri la mano che lo facciamo cantare
Rina Ravera
Opera 3 a classificata poesia in vernacolo
Lâ Cri
Nel mezzo del cammin della mia vita,
quând tütt pâriva nurmàl e stabilì,
âl mé distén l’ha cambià percùrs
pârchè una nöt hö incuntrà lâ “Cri”.
Fén â cul dì lì, ânsi cùla nöt,
âl mé pü gròs dafàri l’éra âl divertimént:
Bacco, Tabacco e Venere â tüt ândà,
mâ in fönd in fönd s’éra nò cuntént.
Causa un biciér âd pü, tânt mé âl mé sòlit,
cun lâ màchina sö vulà föra dâ strà;
hö fàt in témp â ciâmà il 118
e pö hö pensà: “L’è la me ùra, sö spâcià”.
Quând hö dvèrt i ögg, là int l’uspedàl,
âm pârìva dâ vès pâsà sùta un trâtùr;
me màdâr lâ pregàva e lâ piansìva
e âm caresàva cun tütt âl sò amùr.
Ârénta a lé, gh’éra una fiulâtâ.
“Chi sa chi è clè?” – pensàva – “Â l’hö mai vista”.
Âm sfursàva dâ ricurdà “chi” fra le tante…
Ma no, lâ fa no pàrt âd lâ mé lista!
Lâ gh’âviva dü ögg culùr dâl mar
e una bùca bèla e suridénta:
sö no pârchè âm bâtìva fòrt âl cör
quând lâ pârlàva o lâ m’nìva ârénta.
Mâ vàrda dönca che ràsa d’un efètt:
sarà sicür lâ bòta c’hö ciâpà.
E quând che dop un po’ l’è andata via,
âm sö sentì deprèss e scunsulà.
“Â lè Cristina, una vuluntària dla Crùs Rùsa” –
l’hâ mà spiegà me màdar cun pasiénsa –
“ringràsia lé e âncâ âl tò Signùr
sâ tè âncùra chi in nostra presénsa”.
L’è pâsà tântâ témp dâ cùla vòlta
e lâ me vita l’è tütâ câmbià:
adès fö âl vuluntàri intla Crùs Rùsa
a la Cristina… âm lâ sö spusà!
Rina Ravera
Traduzione dell’Opera 3 a classificata poesia in vernacolo
La Cri (Traduzione)
Nel mezzo del cammino della mia vita,
quando tutto sembrava normale e stabilito,
il mio destino ha cambiato percorso
perché una notte ho incontrato la “Cri”.
Fino a quel giorno, anzi a quella notte,
il mio più gran da fare era il divertimento:
Bacco, Tabacco e Venere a tutto andare,
ma in fondo in fondo non ero contento.
A causa di un bicchiere in più, com’era il mio solito,
con la macchina sono volato fuori strada;
ho fatto in tempo a chiamare il 118
e poi ho pensato: “È la mia ora, sono spacciato”.
Quando ho aperto gli occhi, là nell’ospedale,
Mi sembrava di essere passato sotto un trattore;
mia madre pregava e piangeva
e mi accarezzava con tutto il suo amore.
Vicino a lei, c’era una ragazza.
“Chi sa chi è?” – pensavo – “Non l’ho mai vista”.
Mi sforzavo di ricordare “chi” fra le tante…
Ma no, non fa parte della mia lista!
Aveva due occhi color del mare
e una bocca bella e sorridente:
non so perché mi batteva forte il cuore
quando parlava e mi veniva vicino.
Ma guarda dunque che razza di un effetto:
sarà di sicuro la botta che ho preso.
E quando dopo un po’ è andata via,
mi sono sentito depresso e sconsolato.
“È Cristina, una volontaria della Croce Rossa” –
mi ha spiegato mia madre con pazienza –
“ringrazia lei e anche il tuo Dio
se sei ancora qui in nostra presenza”.
È passato tanto tempo da quella volta
e la mia vita è tutta cambiata:
adesso faccio il volontario in Croce Rossa
e la Cristina… me la sono sposata!