Dario Marelli
Opera 1^ classificata
A fine estate
Lieve quell’andare sulla sabbia
a ritroso sull’orma abbandonata
al confine dell’onda.
È un volo di folaghe nel vento
uno sbuffo di barche a mezzo molo
quel che resta d’un labile tramonto
a fine estate.
Collane di telline frantumate
vociare di stranieri per le strade
ed un menu turistico che stinge.
La musica si scorda sugli scogli
con il plettro di un vecchio mandolino
e tutto si ritira.
Si attende la risacca della vita,
la galaverna sulle foglie e poi
la brina
che disgela in fondo al cuore.
Arriverà il declino ed il silenzio
lo sguardo intimorito di un bambino,
la mano tremolante e il passo incerto
il cerchio che si chiude.
Si guarderà più in là
la pavoncella e il falco di palude
e quell’andare lieve sulla sabbia
svanire lentamente tra le brume.
Mi aiuterà l’incanto dei tuoi occhi
e il dono dell’amore che non muore.
Marisa Cossu
Opera 02^ classificata
Andromaca (acrostico)
Ardente sabbia bacia i tuoi calzari:
Nel fragore del mare cade il pianto
Di un dolore che gonfia e muove l’onda.
Ruba l’amato a te gelida morte
Ora che avanza fulgido lo scudo
Minaccioso del greco invitto Achille.
Ahi! dolce sposa, presaga del lutto,
Cogli l’amore nell’abbraccio estremo,
Ama questo momento d’infinito.
Tiziana Sartorati
Opera 03^ classificata
Non so dirmi perché
Non so dirmi perché
ormai ogni giorno
raggiungo quel posto
maledetto e nero
È un buco che mi porto dentro
una voragine
che ingloba troppo dolore,
ma non smetto
E pensare che un tempo, al principio,
mi dava l’idea di possanza:
Io posso decidere di me,
controllo i miei impulsi
assimilo e rifiuto
governo la mia volontà…
controllarmi
da sola
io posso!
Invece è un buco che mi porto dentro
che mi divora e mi dilania
e io non so dirmi perché
ormai…
ogni giorno…
Ecstasy
Eroina
Ironici i nomi
per vite, come la mia,
che si buttano
volontariamente
via
Patrizio Pesce
Opera 04^ classificata
Donna
Nessuno può immaginare
quel che dico quando me ne sto in silenzio
chi vedo quando chiudo gli occhi
come vengo sospinta quando vengo sospinta
cosa cerco quando lascio libere le mie mani.
Nessuno, nessuno sa
quando ho fame, quando parto
quando cammino e quando mi perdo,
nessuno sa che per me andare e ritornare è indietreggiare,
che la mia debolezza è una maschera e la mia forza è una maschera,
e quel che seguirà è una tempesta.
Credono di sapere
ed io glielo lascio credere
e creo.
Hanno costruito, per me, una gabbia affinchè la mia libertà fosse una loro concessione
e ringraziassi ed obbedissi.
Ma io sono libera prima e dopo di loro, con loro e senza di loro
sono libera nella vittoria e nella sconfitta.
La mia prigione è la mia volontà!
La chiave della mia prigione è la loro lingua
ma la loro lingua si avvinghia intorno alle dita del mio desiderio
ed il mio desiderio non riusciranno mai a domare.
Sono una donna.
Credono che la mia libertà sia loro proprietà
ed io glielo faccio credere
e creo.
Daniela Borgato
Opera 05^ classificata
Visione
Ascolta i tamburi!
Risuonano cupi
nel gelido cuore
del vuoto universo.
Senti il vento?
Trascina in cieli opachi
parole di sangue,
funebri canti di guerra.
Disperde tra boschi
gemiti oscuri
di generazioni smarrite,
che invano rincorrono
il sogno della pace.
Nei cimiteri alpini
anime spente
consegnano alla terra
brandelli di eterno addio.
Smagriti abeti,
curvi sui tumuli,
stendono pietosi
vecchie braccia tremanti
su cuori sigillati.
A ninnare povere ossa.
Antonio Fiorito
Opera 06^ classificata
Mediterraneo in 8 Haiku
Mediterraneo
Ogni aurora un tramonto
senza orizzonti
Mediterraneo
miraggio e cimitero
d’uomini in fuga
Africa in fiamme
Ignobili mercanti
di carne umana
In mare aperto
mille vite spezzate
piangono sale
Madri oltraggiate
affidarono i figli
senza speranza
Occhi smarriti
che non sanno d’infanzia
verso l’ignoto
Di qua del mare
nuovi làbari alati
muraglie infami
Niente orizzonti
Ogni aurora è tramonto
Mediterraneo
Carla Noro
Opera 07^ classificata
Da questa parte del mondo
Da questa parte del mondo
di aquiloni liberi nel cielo
piango la vostra terra lacerata
al di là del mare,
i palazzi straziati
con il ventre di fuori,
le notti sconvolte da lampi di fuoco
per le albe intorbidite
per i tramonti senza più occhi.
In doloroso palpito vi stringo, madri,
gli occhi disseccati dal terrore
i figli aggrappati al cuore
trascinar passi tra le macerie
di strade che un tempo furono urbane.
L’inferno si è aperto sulla vostra terra
i lupi uccidono gli agnelli
i rantoli sono pietre senza eco.
Pietà! per lo schianto di vite
per i pozzi senz’acqua
per sogni spezzati,
da voi fratelli imparo tutto il patire.
Fa memoria di voi
la sabbia del deserto che il vento ci porta,
la rugiada che gocciola
lacrime di bimbi senza aquiloni
alla nostra quiete, richiamo.
Alessio Baroffio
Opera 08^ classificata
Mani vigliacche
Perdona padre
i giorni alla deriva
nel mare del silenzio,
l’afona bocca
che ha smarrito il sorriso
nel castello di paura
dove ho rinchiuso il dolore.
Perdona padre
l’orgoglio sconfitto e steso
sul tappeto ardente
di una muta umiliazione,
il corpo pesto e livido
accasciato in quest’angolo
spoglio di speranza.
Perdona padre
le mie nascoste lacrime,
i miei sogni spezzati,
le orecchie sorde
ai tuoi sinceri consigli
che cieca ho oltraggiato
con irridenti parole.
Anelo padre
le tue carezze dolci
che sovente ho rifiutato
nella giovinezza appassita,
ora che fanno troppo male
le mani meschine e crudeli
del mio uomo vigliacco.
Barbara Calcinelli
Opera 09^ classificata
Istantanea
Nevico inverno, sul peccaminoso noi che fu.
Scivolate via, persino le ossa.
Appiccicati alla mente restano, i puntini
di un tratteggiato orizzonte, linearmente obliquo.
Friggono i ricordi che annego ogni sera
in un drink troppo chiaro e almeno 3 sigarette spente.
Quelle che fumavi tu, mozziconi intrisi di rughe
dal tipico odore di ingiallite labbra chiuse.
Morderò tutto il ghiaccio sul fondo,
per rubare altre sporche verità, forse
ed imprimervi tutto il mio dolore rappreso.
Lettere chiuse per restare, inchiostrate tra le mani,
tra la gente, che distratta spende, e perde.
Non sarà fenice, la cenere che agita queste ferite.
Non sarà facile, la fuga che allontana di poco la vita.
Resto bersaglio nel mirino, disarmata, per letti
crudamente fatalisti. «Nessuna colpa», ribadisco.
I tramonti incendieranno i passi scalzi sul selciato e
nessun maglione ti riporterà qui, lana o non luna.
A voce rotta, e a fiato corto sputo, tossico il veleno
che mi abita e ti invoca a pelle, anche clandestina.
Scena opulenta, mai sazia. Mai salva. Brucia.
Supplica di spiriti, angeli e persino Dei, sulle onde
sollevate del tempo. A tastoni vengo a cercarti, fin là,
dove ho camminato capovolta, poco prima di un vento
affilato. Giusto giusto, un alito prima della paura.
E fermerò il giro del mondo lì, sappilo, in un
imperfetto ma distillato noi. Scatti intrappolati in
uno spazio d’eterno. Istantanea, per scandire
livida l’assenza, nel crudo confine tra ciò che era,
e ciò che più, non sarà.
Andrea Barbazza
Opera 10^ classificata
Ti amo come la farina
Ti amo come la farina
e la buona acqua.
Come il poter vedere ancora
questi colori assolati.
Come il potermi alzare,
alzando ancor prima il sorriso.
Come questo senso di primavera,
forse un profumo, antico e nuovo.
Ti amo come si ama ogni giorno
ed ogni giorno ti amo.
Teresa Pannunzio
Opera vincitrice Premio Donna
Addio maman
Mia madre mi ha portato via dalla mia terra per salvarmi dalla guerra.
Io nell’acqua gelida, nera come la notte che ci circonda,
la mia mano aggrappata alla mano di mia madre.
Paura del buio, freddo nelle ossa…
e poi una luce, voci, urla vicine.
Mamma che grida con tutto il suo fiato rimasto e
io… io vengo issato in alto e la mano di mamma scivola via
e lei in un attimo diventa invisibile.
Ogni volta che guardo il mare rivedo il suo volto che si allontana da me.
Ora so.
Ora so che mi ha salvato la vita,
la sua vita per la mia.
Getto un fiore, una rosa, una margherita, qualsiasi fiore, nell’acqua salata e grido il suo nome nell’aria salmastra.
Addio maman.