Sante Serra
Opera 1^ classificata
Guarderai il mio giardino
Incerta ti aggirerai per casa,
troppo tempo sarà passato
per rammentare i luoghi
del nostro ultimo abbraccio.
Cercherai fra le mie cose
segni e voci del mio vivere,
troverai tracce di un cuore
fiaccato e bisognoso di te.
Aprirai i miei cassetti
in cerca di una sponda
dove attraccare i tuoi pensieri
e i ricordi vissuti con i miei occhi.
Ricorderai tuo padre
nella sua complicata attesa
nel cercare ovunque il tuo sorriso,
che avrebbe voluto viverti di più.
Ti siederai, guarderai il mio giardino
da dove il mio amore per te
volava alto, sopra il gelsomino
sopraffatto da intimo silenzio
e dallo sguardo di speranza.
Michele Ginevra
Opera 2^ classificata
Ricominciare
Ti ho amata talmente tanto
da far sanguinare
le parole mai dette,
i pensieri impensabili,
persino quei silenzi gridati
che tenevano unite
le nostre preghiere.
Adesso che è tempo
di ricominciare,
di riattaccare al ramo
le foglie cadute,
passami i tuoi sogni…
i miei sono ormai consunti
da mille risvegli feriti.
Dario Marelli
Opera 3^ classificata
Un metro di distanza
Un metro di distanza
più del fosso che separa il cuore dal cervello
più dell’argine fra la terra e il cielo.
Come il passo prima dell’arrivo
o la paura di consegnarsi al precipizio.
Un metro e tante cose da scoprire
nei risvolti degli sguardi
da raccontare poi ai nipoti.
Sapersi vivi tra le mura
di una casa
abitata, eppure mai abbastanza.
E percepire la vita pulsare
nella stretta di una mano
anche solo immaginata.
Aver la cura di un sussurro,
di una parola amica, chiara
come il vetro di una lampada
un gesto che ci guidi e ci faccia sentire
vicini, benedetti, uniti
da questo metro di distanza
da questo punto di domanda.
Essere pane, vino, commensale,
focolare irrinunciabile,
per sempre voce, anima di pace.
Essere neve d’aprile,
sciogliersi al contagio del cuore.
Nella stessa aria,
ad un metro di distanza.
Donatella Quintavalla
Opera 4^ classificata
Il mio inno alla luna
E quando mi perdo
negli spazi infiniti
dei miei pensieri
Vago con lo sguardo
per cercare
un porto rassicurante
E mi perdo
nella tua luce
nei tuoi riflessi
nel tuo essere sempre là
Imponente o furtiva
Luminosa o fioca
Sempre lì rimani
Come un faro
in quel mare di stelle
Aspetti nuovi colori
e lì ti lasci cullare
Maria Colombo LGE
Opera 5^ classificata ex aequo
Una casa
Ho costituito una casa,
la casa del cuore,
quella che serba i segreti più belli,
i pensieri più profondi,
una casa dagli occhi limpidi
e che incanta per la grazia e la gioia.
In questa casa non vi abita
né la scialba mattina,
né il buio del cuore.
È una casa senza i veli della notte,
avvolta nella luce dorata della speranza,
con spighe alte e biondeggianti,
con l’odore dell’estate che si avvicina.
È scolpita nella memoria dei miei giorni
con le voci, gli sguardi
e i germogli dell’amore.
Domenico Livoti
Opera 5^ classificata ex aequo
Amami
Amami
con il passo delicato degli dei
e l’urlo trionfale di un esercito in vittoria.
Amami
con l’esuberanza di una magnolia
in primavera
e l’umiltà di una viola sul sentiero.
Amami
col silenzio delle barriere coralline
e il fragore delle onde sugli scogli.
Amami
con i versi di un poema epico
e con un singolo languido sospiro.
E infine Amami
per sollevare il sipario del tempo
e dare vita allo spettacolo
dell’immortalità.
Lucianamaria Curti
Opera 7^ classificata
Mare sincero
Ho conquistato il mare,
quello sincero, rude,
che prende come una magia
e manca, quando si è lontani.
È un verde smeraldo
che si perde in un blu cobalto,
nello sciogliersi della lontananza.
È un mare un po’ rabbioso,
col vento che gioca
come un bimbo ribelle.
Spinge le onde con forza,
le solleva,
le accavalla, le rincorre,
le infrange, piene di vita,
in un ribollire di schiuma bianca.
Non c’è che lo sbuffo del maestrale
e il fiato di quest’acqua madre
a riempire i pensieri.
Finalmente un volo planare.
Aquilone o gabbiano,
cercherò la mia destinazione.
Unica ed essenziale, sempre,
legata ad un sottile filo invisibile,
cavalco la marea,
da un capo all’altro dell’orizzonte.
Concetta Guido
Opera 8^ classificata
Ho visto il mio lare
Ho visto il mio lare
era un’ora balorda, né l’alba, né mezzanotte.
mi ha fissata negli occhi,
tra la lavatrice e la sedia Luigi Quindici,
sotto il quadro del pesce blu.
Il mio lare femmina, una bisnonna o una trisavola.
Anche io sono qui da secoli, con le rughe di dentro
che sono solchi di fiumare.
Il mio lare mi sorride e adesso so
perché parlo con la mia casa,
accarezzo i suoi muri.
Ascolto il silenzio del geco.
Sono il frutto di aurore e crepuscoli
di tarantelle e inverni di pioggia
trapasso questo tempo con addosso gli ardori
di nonne in guerra e in pace
Piango per la morte di un figlio
gioisco per il mio olio e il mio vino
Adesso so perché parlo con il focolare
e faccio entrare il sole da ogni pertugio
Io che fuggo e affondo
riemergo nel quieto mare
con la mia anima da naufraga
sono la chiave del tempo
Vittorio Di Ruocco
Opera 9^ classificata
Il vento silenzioso della morte
È un vento silenzioso quasi astratto
a trascinarci verso l’orizzonte
che appare come l’orlo dell’abisso
a noi viventi all’ombra della morte.
La piazza vuota al colmo del mattino
rende lo sguardo muto e sconsolato
a chi quasi a difendersi dal nulla
s’affaccia appena ai bordi della vita.
Il tempo sembra immobile, è un tormento
come una spada pronta a trapassare,
che fissa ad un centimetro dal cuore
non indietreggia né si lascia andare
al colpo che dilegua l’agonia.
Stammi vicina amica mia speranza
rinuncia ai tuoi propositi di fuga
da questa terra amara e maledetta,
rendimi almeno un palpito di luce.
Fa’ sì ch’io qui non resti a consumarmi
tra pile di ricordi e di rancori
ma possa ancora prendere per mano
la donna mia che attende sulla soglia
avvolta nel vestito dell’amore.
E se grida più forte la tempesta
e la paura annera ogni sorriso
perché il nemico occulto ci divora,
tu non abbandonarci alla deriva
ma guidaci nel tempio dell’aurora,
lontano, via da questa infausta notte.
Insegnaci ad usare le parole
raccolte lungo i viali del silenzio
per colorare di nuova bellezza
il volto sfigurato della vita.
Vedrai ritorneremo a camminare
con gli occhi accesi dalla meraviglia,
e finalmente ancora a respirare
il brivido innocente di un abbraccio.
Alessandro Russo
Opera 10^ classificata
L’intruso
Entra senza una faccia,
e come un bambino
che ha indossato solo un vestito
– ormai stretto – da pipistrello,
si affretta a provare
nelle ombre di Halloween
altre maschere della paura.
Non s’intende di colpe o rimorsi,
e con l’entusiasmo di un debuttante
fa l’unica cosa che sa fare: infetta,
democraticamente, corrompendo
un colpo di tosse o uno starnuto
per farsi accompagnare fuori
a cercare un altro ospite,
a regalare una nuova paura
(Wuhan, 31 ottobre 2019)
È arrivato da un po’ senza fare rumore,
aspettando le sfilate di Carnevale
per provare anche qui, su facce diverse,
le stesse maschere, che fanno paura
come quelle cinesi e forse ancora di più:
sembra più forte o semplicemente le sue maschere,
che i giovani mettono e tolgono con facilità,
sono troppo strette per i tanti da noi
che avendo già l’affanno degli anni,
non riescono a sfilarle e restano senza respiro
(Codogno, 25 febbraio 2020)
Maurizio Rinaldi
Opera 11^ classificata
A Bardolino
Stasera il lago, cittadina mia,
di rosato ti vuol vestire a festa.
Cessa il fragor garbato per la via;
celasi il sole là dietro la Testa.
L’anatra, ai tocchi dell’Avemaria,
porta a dormir la prole, lenta e mesta.
Poi quando è un velo di malinconia,
tremante, l’ombra di una coppia resta.
Dolce città che lo straniero incanti,
con tua avvenenza magica e maliarda,
quali amori tu fai nascere e quanti!
Ecco la luna, Bardolino cara,
e, mentre ti addormenti, essa ti guarda
e ti accarezza con sua mano chiara.
Gian Paolo Simonato
Opera 12^ classificata
Girotondo
Giri di valzer
tra nuvole rosa
nere bianche grigie
e spegnere lo smart.
La ruota gira, rosso o nero
la pallina danza tra balli e canti
nell’ansia del mistero.
Gira la ruota, rosso e nero
la mano trema tra chiat e twitter
nel ritmo giornaliero.
Bramare
e pensare di fare cercando
sfide e ambiziosi progetti
inciampati nel farò domani.
Desiderare
e spezzare angosce vagando
tra sogno e affanno
mentre cola tra le dita chiuse.
Ondeggia il vuoto sulla cima del vento
frustando le note
sul rosso voluto
sul nero trovato.