Mauro Domenella
Opera 1^ classificata
Al ponte levatoio
E saprò solo cogliere sbocci di dalia,
invaghirmi del ricamo delle stelle.
Spalle al muro, mi riconoscerò – gli anni, spietati inquisitori – in una foto che tiene il respiro.
Verranno a stuoli, dissepolti dalla melma
della consuetudine, i ricordi.
Asceta con la disfatta della ruga,
ripercorrerò i tranelli di voci,
i giorni che rotolavano lievi.
Al balbettio di orologi
disferò il baule con le speranze clandestine,
ormai orfano di qualsiasi alibi,
per arrendermi all’infamia della polvere.
Al varco del ponte levatoio
toglierò la pelle dell’ultima muta,
farfalla redenta ad un Dio
che nella crisalide mi s’incide ad ogni spino.
Filippo Inferrera
Opera 2^ classificata
Nel buio quieto delle sere
Mordo con cadenze scheggiate la solitudine
che musica i cancelli e intreccia danze di rosaviole,
quando mi appari avvolta nel mantello dell’ombra.
Si veste l’infinito del nostro amore di piena voce,
confuso diritto di vivere senza vitalità perdenti.
Il presente non dà riposo e rincorre boschive altitudini,
gli affetti più preziosi sono pagine di diario
che si accendono e si spengono, si spengono e si accendono.
Tu, dentro la radice, fiume di lava, vuoti le braccia
argano fissato nel silenzio. Silenzio di abbandono
nel buio quieto delle sere, ala di uccello a noi ignota.
Apro l’ultimo mio verso e invecchio lungo viali di platani,
fino a te il mio destino sprofonda, sfido prima il verbo
poi il seme. È un indizio il tuo essere corporeo,
non conferma se la follia è ancora desiderio di amore.
Qualche volta ho vissuto senza ricordi, senza profumi,
e quando ho recuperato le tele dei sogni ho scommesso,
ho vagato, ho colorato di strepiti la mia umanità.
Ora, ti sfiocco nel mio calesse d’erbaluce,
ora, riemergo dal tuo sonno futuribile in metamorfosi,
dove tu giaci si priva il corpo di certezze di roccia,
dentro un rivolo di sangue annega la mia barca.
Gino Zanette
Opera 3^ classificata
Sfollato per un giorno
Inbrunisce
sul profumo delle rose
un giorno che ho rincorso
sul selciato caldo di sole
e di ricordi tristi
in questa primavera
alida d’attese
sfollato per un giorno
da casa mia. Ero
un braciere che si spegne
solitario fra ciottoli
silenziosi di pensieri
figliol prodigo delle mie paure.
Qui si arrotola il filo
aggrovigliato dei giorni
fra brividi d’ombre che tornano.
E sento le ciglia screziarsi di brina
e le labbra suggere tracce
scalfite sul tronco del ciliegio sfiorito
di amori dissennatamente
sprecati nel tempo.
Una bava leggera di vento
e il canto spavaldo dei merli
mi porta odori e canzoni
di lontane stagioni
petali schiusi e abbandonati
nelle pagine inerti dei versi.
Più tardi verrà
con la luna il pianto
e il calesse dei rimorsi
mi riporterà a casa
a cogliere l’ultimo sonno.
Sergio Baldeschi
Opera 4^ classificata
Nuovi orizzonti
Nell’officina dimessa,
l’onda della muffa ha sommerso le pareti…
il calcolo misurato è stato inopportuno,
l’olfatto è naufragato
nella consapevolezza dell’agire.
La mia task force
comincia con mazzuolo e scalpello
e il gracidare di una vecchia radio
che a ritmo di rock
m’accompagna sulla traiettoria di una crepa.
Per curare l’ossatura al mattone
ho palestrato il cuore,
non sarà facile demolire il sudario dei sentimenti,
l’essenza dell’incompiuto
gronda ancora sui muri in calce,
il sangue azzurrato di mio babbo…
pulsa dietro la pagina che scorre.
Nel tebaide incrostato della stanza
gli echi dell’eterno si fanno più vivi;
vicino alle fauci della morsa…
un passato di antiche litanie
mi sfila davanti in rassegna,
sinfonie meccaniche prendono corpo,
le scintillanti note di una mola
e i melodiosi arpeggi di un trapano,
sono la sinestesi di un concerto.
Quel dolce strepitio, per un attimo…
da forma e sostanza
a tutto ciò che ho amato.
Una pace arcana si posa sul cemento…
l’ispidezza della carne s’intonaca al mistero,
come il silicio alla clessidra.
Il tarlo della bolla
oscilla sulla livella impercettibili ritorno,
mentre l’anima fertilizza dalla tua presenza,
s’appresta a piallare… nuovi orizzonti.
Davide Cautiero
Opera 5^ classificata
Anatema
Fuggo, come un’ombra solitaria-
come un gelido respiro,
come il cuore di un pellegrino.
Fuggo per resistere al tuo ricordo,
un demone che non ho mai corrotto.
Fuggo come l’innocenza al suo primo peccato,
come il tempo, che chiama a sé
la ruggine dei suoi rimpianti.
Luisa Foddai
Opera 6^ classificata
Ballata triste dell’ amor rubato
Colombe rapaci le tue mani
su due candide colline innevate.
Ali bramose, nude di indugio
vagano e trovano nido,
languido rifugio
tra umidi solchi
di un corpo
straziato
di assenza.
Trafitto e inchiodato
da dardo beffardo,
chiuso si apre
alle lascive vie dell’amore,
in tacita espiazione
per palpito ruggente di
recondita follia.
Perso tra gli oscuri abissi del piacere
danza veloce il tuo ventre
fedifrago
in solitario amplesso,
come in tragica e triste ballata.
Di lussuria vestita
e di atavica altrui passione nutrita,
si infila morbosa la luna tra umori ed ardori
del pungente giaciglio, a far proprie le
univoche note stonate del disarmonico canto.
Volo saziato di rapace colomba
su un cielo bruciato,
lentamente esangue
si spegne clemente
nel tragico tormento del mattino.
Andrea Polini
Opera 7^ classificata
Tra il destino e il respiro
È notte. La luna galleggia quieta
in cielo, e lieve carezza la pelle
innocente e lontana di una donna
come amore promesso, dove batte
il cuore del sogno. Mutano gli anni
e la vita sfuma, senza sapere
se esisteva un luogo per dare scacco
al rimpianto, al rimorso, all’illusione
e vivere ancora. Felicità
se esiste è nel poco, se non nel nulla.
Il presente insegue il suo desiderio
per fermarsi, domani, e rovistare
l’inganno dell’irraggiungibile ieri.
Di tutta la luce amata non resta
che il vano riaccendersi della notte
e il silenzio delle stanze, qualcosa
che dà respiro mentre uccide, un nome
perduto, un volto affacciato nel vuoto.
Vivere è questo illusorio domani
che muore a poco a poco, alba dopo alba
nell’ombra di una manciata di sillabe
a ricordare quel che non è stato.
È tardi. L’ordine oscuro del cielo
è sussurro d’immenso oppure niente
che mi riguardi. Il canto della luna
sulla tua pelle, amore senza suono
divampa su questo foglio di tempo
immobile, tra il destino e il respiro.
Floredana De Felicibus
Opera 8^ classificata
Approdo all’infinito
Cos’è che sussurra l’anima al vento
di questa voglia che ho di parole
quando l’infinito riveste il pensiero
e sull’onda s’infrange il veliero?
Rasente al muro di quest’andare
vado trovando lungo la siepe
il sospiro cosmico dell’orizzonte
il passo breve delle mie ombre.
E sempre vago dove grida il silenzio
e sempre scandaglio parole
per cercare un’attesa irrisolta
voci che sciolgono amari ritorni,
ma non mi giunge carezza dal vento!
Non mi morde la fame sapere
dai miei cieli serrati al sereno
che dopo il diluvio arriva la quiete
e con la calma l’arcobaleno.
La clessidra sfoglia i grani del tempo
e la luna segna i confini del cosmo,
cancella il tormento sapere
che se una terra feconda germoglia,
la spiga lenisce sete di vita?
Ma dove corron le voci ai confini imbruniti?
Sulle mie labbra d’albe infuocate
vorrei lembi di freschi pensieri
per spegnere l’eco che alla terra mi lega
vedere l’approdo dove placa l’idea.
Di questo breve batter di ciglia
nulla ci è dato di reclamare
di quelle mani che una volta sfiorammo
i cieli d’infanzia che un dì carezzammo.
Almeno un verso mi segui l’andare
spargere note di una eterna canzone
avere nel pugno un’ala di luce
e penetrare la soglia d’infinito ritorno.
Chris Mao
Opera 9^ classificata
Linea d’orizzonte
Il senso della mia immaginazione
forgia questa linea d’orizzonte;
l’estinzione della verità
semina tra i vivi
un chiarore appagante
che rende a tutti la follia
di un tempo abbandonato.
Il custode delle necessità
dimentica i nomi e le date,
confonde le strade e i ruscelli
rifiuta lo strazio del Tempo,
insinua tra i suoi dilemmi
il gaudio dell’effimero.
Il masticatore d’illusioni
pretende di sapere il peso
dei pensieri e delle ombre,
confida nella perfezione
dei chierici e dei chirurghi.
Il pretendente al trono
getta lo stendardo e grida
la sua rabbia contro la Corona,
aspetta la lusinga del rivoluzionario.
Il console della televisione
annuncia che i programmi
riprenderanno a glaciazione avvenuta.
Il comitato delle decisioni future
approva la diaspora degli eserciti.
Nella bellezza della mia ribellione.
Patrizia Azzani
Opera 10^ classificata
Certe volte mi sento un angelo
Certe volte mi sento un angelo:
nella mia dimora di celeste
acquitrino schiudo le mie ali
di aurore dorate e un fruscio
fragile sciaborda silenziose
evanescenze. Nei solchi incisi
s’alza il canto della mia anima
che germoglia elemosine d’amore,
inciampando in terrestri esultanze.
Senza ali mi scioglierei donna
e sarei regina del tuo presente
e tu, scultore di notti di baci,
porteresti nella bocca il respiro
ardente del vento alato e fiero.
Ma tu, che baci oltre le labbra, non
varchi il mio cielo di piacere, non
mi suoni nel tuo tempo musicale:
sfiori appena le mie ali abbassate
e mi lasci alle mie sospensioni.