Filippo Inferrera
Opera 1^ classificata
Tornano i primi soli
Tornano i primi soli della primavera,
tiepidi abbracciano le colonne delle città,
d’incenso è la memoria che giace nella foglia
e raccoglie dalla terra la brina che esita a morire.
Provai nel volo di accendermi di sogni.
Ora, l’odore di menta ricopre il tuo viso,
ora, i cani danzanti approdano al giaciglio,
ora, fiori sopiti incalzano antiche transumanze.
Accarezzai la musica dei tuoi occhi grandi.
Di nuovo oscilla e gioca l’aria di aprile,
penetra tra la siepe una luce di fuoco ed esplode,
Al di là del respiro la vita è anche polvere,
una cadenza di ore che scortica il silenzio.
Mi parlasti dei tuoi inverni di occidente.
Passeggeri sotto l’arcata dei cicli si sfiorano
sopra la ruggine di paesaggi ormai deserti
e l’attesa è sospesa tra i fari che si smorzano.
Ebbi timore d’incoraggiare ogni pensiero,
Ima i miei giorni rinvigorii dentro i tuoi domani.
Dai gradini del tempo pendono oscure insonnie,
frusciano nella mente mai sopite sofferenze,
raccolte in barricate di acerbe nostalgie,
il falco passa attento tra gioventù e vecchiaia.
Ripresi le tue mani là dove era morta la preghiera.
E fui bambino.
Federica Minozzi
Opera 2^ classificata
Identità negate
Ogni dì brancoliamo
nel rutilante turbinio
di rumori esasperati,
analgesico cloroformio mentale.
Vischiosa gelatina,
l’abitudine risucchia –
nelle sue spire immobili –
idee senza ritorno.
Non siamo che
insensati ossimori –
in fluttuazione superficiale –
d’identità negate.
Danila Olivieri
Opera 3^ classificata
Cinque Terre
(a Eugenio Montale)
Erano passi sospesi nel prisma
dell’ebbrezza e del canto,
tortuosi sentieri tagliati
su falesie lastricate dal mare
e stenti lentischi franati
sui sassi di sperse calanche-
cordate di case ai greppi aggrappate
come la tua agave e sgranati
rosari di paesi arrampicati
in un arcobaleno di colori.
Era dirupata vertigine
di ondivaghe terrazze
di vigne rubate alle rupi
e precipiti ad abbracciare
il palpitare di scaglie di mare.
Erano poggi esigui
contorti d’ulivi, orti ebbri d’aromi
di limoni e barche in piazzole
arrese a tregue di respiri-
bianchi silenzi di santuari
a sentinella di colline
e di chiese ancorate al mare,
spazi d’anima e luce
dai clivi vendemmiati
del Mesco e aperti all’infinito.
Poi a Manarola il presepe trafitto
di fede e scintille di sole
sul ferro della croce…
E dove in velato viola tepore
consumava il crepuscolo,
carezza era la sera.
Luigi Di Legge
Opera 4^ classificata
Manager
Cammino lucido
impettito
sempre collegato
sempre disperato.
Prigioniero di risacca
come un pallido Lucignolo
con il target da centrare.
Ti chiedo perdono mio Signore
Ti prego.
Giudicami per quello che non sono.
Mariateresa Biasion Martinelli
Opera 5^ classificata
Sete d’infinito
Quassù, dove le vette sfiorano il cielo
e si respira sete d’infinito,
ti ritrovo ancora, padre,
come se i tuoi giorni
non si fossero mai conclusi
e la tua voce risuonasse
fra le spire del vento
e il mormorio del torrente.
Oggi, per un istante, ho pensato
che la clessidra del tempo si fosse capovolta
e potesse rinascere il tuo domani.
Quando fra le nubi foriere di tempesta
e lo scrosciare della pioggia,
immobile sulla porta di casa,
ti immergevi nella furia degli elementi,
nel tuo cuore scendeva la pace,
In quel furore si scioglievano
grumi di rabbia e nodi di sofferenza
e l’arcobaleno tornava a risplendere
nell’anima ferita.
Ora che il tramonto avvolge la sera,
sembrano risuonare i tuoi passi stanchi
sulle pietre consunte dallo scorrere dei secoli,
dove ormai si è esaurito il tuo cammino.
Poi il vento si placa.
Soltanto il ricordo assopisce il dolore,
salvando la mente dall’oblio.
E respiro ancora quella sete d’infinito.
Elisa Bassi
Opera 6^ classificata
Estate
Il fremito monotono
delle cicale,
come tratto ombrato
di pennello,
pervade il giorno
d’afa e malinconia.
Nell’infinito spazio
il tempo è asciugato
dal fuoco del vento.
Foglie ingiallite
si spengono
nel caldo respiro dell’estate.
Le ombre al tramonto
confondono lo sguardo
e la solitudine affiora
nel sonno della notte.
Gabriella Salerno
Opera 7^ classificata
Se fossi un poeta
Se fossi un poeta
per ricordarti –
scriverei
poesie d’amore.
Su parole
preziose
profonde
– punte di raso o diamante –
danzerei.
Immagini
strapperei
a sogni lungamente sognati.
All’alba
luce
chiederei
per rischiarare
il tuo volto.
Ma non lo sono.
Così sciolgo
queste poche parole
come il marinaio le vele. E gli ormeggi.
Maria Chiara Quartu
Opera 8^ classificata
Oltre i confini
Al di là della sera che si perde
fra le ombre dell’oscurità che cresce,
la notte allunga il passo e si disvela.
Cosa ci sarà mai oltre il confine
dove si alternano la luna e il sole
nelle soste celate ad occhi alieni?
La scienza ci regala le risposte
ma lo sguardo non filtra
l’orizzonte.
Il pensier che non sosta sempre
freme e vaga fra spazi sconfinati
alla ricerca di inconsuete aurore.
Ma cosa ci sarà dove la scienza
non filtra l’orizzonte?
Saprà il tempo sondare quei misteri
che fluttuano lontani oltre i confini?
forse il Creato di infiniti mondi
degli umani dileggia le illusioni.
Elisa Pasquarelli
Opera 9^ classificata
La morte annichilente
Se le parole che vorrei
fossero – ma non sono, non adesso –
tracimanti flutti da fori
sul pensiero,
io descriverei questi silenzi
come attese gentili,
guardiani devoti di un intimo
segreto e li riprodurrei
con fedeltà in simboli
decifrabili concatenati
in frasi di senso compiuto.
Ma non sono, per adesso,
altro che deboli anagrammi
del loro stesso mutismo.
La grammatica contorta
dell’indicibile ne svelle
gli esiti non più possibili
rilasciando il succo
di un voler dire che rimane
a mezz’aria come uno sbuffo
di fiato. E tutto resta in attesa
di essere detto o scritto
e, di nuovo, vociato.
Edoardo Comiotto
Opera 10^ classificata
Vendemmio parole
Vendemmio parole in questo incipiente autunno
tagliando i giorni dai tralci della vita
– con le forbici delle emozioni –
ammucchiandoli, mescolandoli alla rinfusa
nel tino del sentimento
e pigiandoli con i piedi nell’incedere delle stagioni,
m’immergo nell’ebbrezza del mosto vermiglio
assaporando l’acidula dolce presenza dei ricordi.
Nella solitudine della notte,
mentre piovono pulviscoli di stelle,
sobbalza, rimbalza una fitta nel cuore
che s’è usurato come un cardine
aprendo troppe volte la porta
a gonne stropicciate, sconosciute
che gli hanno dato solo l’ombra dell’amore.
Stanco d’issare vele per mari sconosciuti
intravede ora solo l’ombra d’ Itaca lontana
– sogno di giovinezza perduta –
e s’arrende al canto suadente delle sirene
e sovviene il pensiero dell’ineluttabilità,
dura come pietra, l’inevitabilità della fine
che aspetta come un cane fedele,
fuori dalla tua porta, sopra l’ironico stuoino
dalla scritta di benvenuto.